Una chiacchierata con… Giuseppe Berti e Benedetto Gui
A cura di Andrea Dalla Palma e Andrea Gasparoni
Negli ultimi anni anche il sistema economico mondiale è stato investito dal “vento del cambiamento”. Dopo la grande crisi del 2008, un nuovo modello di capitalismo sta lentamente nascendo: il “capitalismo etico” che riflette una visione della società e dell’attività d’impresa che non si limita al solo guadagno. In un futuro prossimo questo nuovo modello di sistema economico che si traduce, a livello pratico, nella responsabilità sociale d’impresa, è destinato ad un’importante diffusione.
Di “capitalismo etico” abbiamo discusso in una lunga e piacevole chiacchierata – avvenuta il 15 febbraio scorso – con il Dott. Giuseppe Berti, manager di Luxottica e di Faac, e, in collegamento telefonico, con il Professor Benedetto Gui, docente di Economia Civile presso l’Università di Padova. Ringraziamo di cuore entrambi per il tempo dedicatoci.
“Negli ultimi anni si è sviluppato il concetto di responsabilità sociale d’impresa. Questo concetto è connesso a quello di un capitalismo maggiormente etico e diverso rispetto al capitalismo che si limita ai soli utili e perdite. Da esperti provenienti dal mondo accademico e dal mondo dell’impresa che cos’è il capitalismo etico e che futuro potrà avere?”
Prof. Gui: “Una forma di capitalismo che non mette al primo posto il capitale è, più o meno, sempre esistita. A partire dalle società senza fine di lucro, che hanno come presupposto quello di aiutare una categoria svantaggiata, passando per le cooperative e finendo con alcune imprese commerciali che non si interessano solo dell’utile, ma anche della tutela degli interessi di una o più categorie. Il fenomeno della responsabilità sociale d’impresa risale ad una trentina di anni fa e porta l’impresa, in quanto “cittadina” di una comunità o di uno Stato, a comportarsi da buon cittadino e quindi essere attenta ai difetti che la sua attività provoca. In alcuni casi, con l’intenzione genuina di prendersi una responsabilità verso gli altri, mentre in altri con lo solo scopo di abbellire la propria immagine. Tutto ciò inizia comunque con i molti esempi di imprese, i cui azionisti, proprietari e dirigenti hanno fatto la scelta importante: voler essere al servizio del bene comune e non solo di un interesse particolare.
Io sono coinvolto nel progetto di “Economia di Comunione” che mette in primo piano l’interesse di tutti. L’impresa ha certamente il diritto di sopravvivere e di guadagnare per sé abbastanza per poter sopravvivere e crescere, ma con l’attenzione per chi ha più bisogno, in particolare per le categorie escluse che non dispongono dei mezzi finanziari per fare impresa.”
Dott. Berti: “Riprendendo quanto ha detto Benedetto… Le basi del nostro sistema capitalista occidentale sono state poste dalle teorie di Adam Smith, secondo cui il perseguimento dell’interesse del singolo, in particolare nello svolgimento delle attività economiche, determinerebbe delle dinamiche di mercato in grado si assicurare il benessere di tutti. E’ evidente che questo approccio, vissuto in maniera esasperata, non sempre funziona. Lo abbiamo visto molto bene negli ultimi duecento anni di storia: non solo nelle contrapposizioni tra il capitale e il lavoro o nella nascita di teorie economiche contrapposte, ma soprattutto nella realtà dei fatti, nella vita delle persone, delle collettività e dei popoli. Le disparità economiche, la povertà di intere nazioni, la progressiva rovina del nostro pianeta testimoniano che siamo ancora lontani dalla felicità collettiva e che la supremazia dell’interesse privato non è probabilmente la via giusta.
Mi sento di dire che oggi molte cose stanno cambiando…ed in meglio. Oggi molte imprese e molti imprenditori non agiscono più solo per l’interesse singolo ma, nelle loro attività quotidiane, hanno davvero a cuore il benessere della collettività. Rispetto alle citate vecchie teorie economiche assistiamo ad una sorta di cambio di paradigma: più l’impresa punta all’ interesse di tutti, più il mercato la premia in termini che sviluppo, crescita e risultati. Il mercato stesso sta evolvendo e sembra imporre regole di funzionamento fortunatamente diverse e migliori.
Un ruolo importante lo ha la mutata sensibilità dei cittadini su certi temi. Un chiaro esempio è il tema ambientale, per il quale una parte sempre più ampia della popolazione ha acquisito grande sensibilità e sempre più persone ne capiscono la rilevanza per il loro futuro e per quello dei propri figli. Le aziende che si dimostreranno più attente e attive in tema ambientale facilmente incrementeranno le loro quote di mercato e la loro sostenibilità nel lungo periodo. Nell’azienda in cui lavoro stiamo investendo tantissimo nella sostenibilità ambientale e nella formazione delle persone. Se l’azienda diventa un attore che promuove lo sviluppo corretto, trova anche un mercato ricettivo.
Un altro tema rilevante è l’attenzione alle persone e ai luoghi di lavoro. Questo vale in particolare per le aziende che operano in paesi in via di sviluppo e che si trovano, spesso, a lavorare in mercati poco regolamentati: avere una particolare attenzione ad una retribuzione corretta, al lavoro minorile, agli orari di lavoro, per esempio, è indispensabile. L’azienda diventa, quindi, un attore il cui successo dipende da quanto bene si muove e da quanto favorisce il migliore sviluppo nel contesto in cui è inserita.”
“Quindi potremmo dire che sia nei paesi in via di sviluppo, sia nei paesi occidentali, lo Stato potrebbe ricoprire un ruolo importante, seppure temperato, in questa fase di transizione, magari riuscendo ad accompagnare le imprese e la società ad una responsabilità sociale maggiore?”
Prof. Gui: “Assolutamente sì, soprattutto perché il mercato ha bisogno di regolamentazione. C’è un meccanismo molto semplice. Ad esempio, se non viene imposto a tutte le aziende manufatturiere di non scaricare liquami nei fiumi, succederà che una parte della popolazione continuerà ad essere rispettosa dell’ambiente, pur avendo costi più alti, ma i furbi, si libereranno dei loro liquami, avendo così costi più bassi. Le regole imposte dall’esterno sono quindi necessarie.”
Dott. Berti: “Tutto ciò è assolutamente vero. Tante volte succede che il mondo delle imprese sia più avanti del mondo della politica. Ad esempio, gli Accordi di Rio sull’ambiente sono stati in qualche maniera “forzati” dal mondo delle imprese, perché i politici non erano arrivati ad un accordo. E questo è interessante perché significa che il mondo economico ha una propulsione in sé per evolvere in meglio e andare oltre quanto stabilito da regolamentatori esterni.”
“Dott. Berti, oltre ad essere manager di Luxottica, lei si occupa anche della gestione di Faac. Potrebbe spiegarci, in sintesi, la storia di questa azienda e la sua importanza per il tema che stiamo trattando?”
Faac è una società di Bologna, con una storia particolare. Quando è deceduto il proprietario, l’azienda è stata donata alla Curia di Bologna. Il fatto di avere questo azionista “speciale” (la Chiesa Cattolica) ha dato vita ad una esperienza straordinaria, in cui tutti utili della società sono investiti nello sviluppo dell’azienda e in sistemi di welfare avanzati per tutti i dipendenti. I dividendi distribuiti all’azionista sono poi interamente donati alla collettività, alle persone in difficoltà, alle famiglie più bisognose, alla riqualificazione dei disoccupati. Questo crea un circolo virtuoso anche all’interno dell’azienda perché tutti i dipendenti sono consapevoli che l’aumento del patrimonio di un singolo soggetto ricade, tramite i dividendi distribuiti, interamente nel territorio, per far fronte ai bisogni delle persone e del territorio locale.
“Prof. Gui, lei insegna Economia Civile all’Università di Padova. Potrebbe spiegarci il significato del termine Civile e in che modo questo può essere collegato alla responsabilità sociale d’impresa?”
Il termine “Civile” indica il nostro modo di vedere, pensare, ragionare e concepire il sistema economico. Con l’economia civile guardiamo al sistema economico non come la scienza economica ha tradizionalmente fatto – ossia partendo da un punto di vista individualista – bensì considerandolo come un meccanismo impersonale che permette di conciliare gli interessi individuali di tutte le componenti della società. E’ necessario sottolineare la differenza rispetto all’analisi che viene effettuata dalla scienza economica tradizionale: partendo da un punto di vista individualista, il sistema economico produrrebbe grandi disparità. Quindi, l’idea di Economia Civile è quella di presentare il sistema economico come parte della vita sociale, nella quale non possiamo sperare di avere risultati soddisfacenti se ognuno pensa soltanto ai propri interessi, pur nel rispetto delle leggi. Bisogna arrivare a guardare all’individuo in maniera differente, non considerandolo soltanto per quanto riesce a guadagnare ma anche per la qualità delle relazioni che vive con gli altri. Ogni azienda deve interessarsi al senso e al significato che ha la sua attività; ad esempio, deve essere consapevole differenza del vendere medicinali a chi ne ha bisogno, anziché armi.
“Un’istituzione che si è molto impegnata verso uno sviluppo sostenibile è la Chiesa Cattolica, che su questo tema vede emergere in primis Papa Francesco. Prof. Gui, potrebbe spiegarci che cos’è il Convegno di Assisi?”
Io vedo il Convegno di Assisi, che si svolgerà fra il 26 e il 28 marzo 2020 [n.d.r. L’intervista è stata effettuata prima dell’emergenza Nuovo Coronavirus ], come l’ultimo di una serie d’ impegni che cercano di realizzare un’economia diversa e di creare una cultura economica attenta all’interesse collettivo. Il Papa, con l’enciclica Laudato sì, ha preso posizioni molto chiare a favore di un’economia attenta agli ultimi e all’ambiente: questo convegno ha lo scopo di riunire tutti i giovani che vogliono confrontarsi e prendere assieme un impegno verso un’economia più giusta. L’invito fatto dal Papa è aperto a tutti i giovani, di qualsiasi credo religioso, che credono ad un economia più attenta al futuro. Già 3000 giovani al di sotto dei 35 anni e provenienti sia dal mondo economico sia dalle università, hanno chiesto di partecipare al convegno per poter scambiare idee, conoscenze e visioni.
Inizialmente si era pensato di invitare ad Assisi alcuni noti leader, ma il Papa ha insistito affinché fossero i giovani i veri protagonisti di questo evento.
“Dott. Berti, come da consuetudine, le classi quarte del nostro Istituto, si avviano verso il periodo degli stage. Secondo lei, la formazione dei giovani e quindi delle nuove generazioni può essere considerata adeguata rispetto ai criteri con cui un’impresa valuta i suoi possibili futuri dipendenti? E che cosa si aspetta il mondo dell’impresa dai giovani?”
Diciamo che tutto questo dipende dal tipo di impresa e dalla sua visione del futuro e del mondo in cui agisce. Almeno nelle imprese in cui lavoro io, una caratteristica fondamentale che si cerca nei giovani è la volontà di non seguire esclusivamente il proprio interesse all’interno dell’azienda, ma di perseguire il successo di tutti.
Una volta c’era la figura del one man show: super preparato, super dotato, super brillante. Ciascuno di noi ha doti molto diverse. Oggi non è più il successo del singolo, non sono più le tue singole doti personali che ti fanno eccellere. Quello che fa premio è la capacità di una persona, con le proprie caratteristiche, di lavorare al successo di tutti. In azienda si deve avere anche la capacità di mettere assieme delle persone e di tirarne fuori il meglio. Lavorare assieme è quindi la competenza più importante.
La seconda caratteristica è la passione. Quello che fa molto la differenza è avere persone entusiaste di fare le cose, non persone passive o refrattarie rispetto al contesto in cui lavorano.
La terza, che è figlia della seconda, riguarda l’imprenditoria. Ogni persona può dimostrare le proprie capacità e ha lo spazio per realizzare quanto è davvero in grado di fare. Portare le proprie idee, le proprie iniziative e le proprie opinioni è quindi indispensabile.
Non ci sono più organizzazioni verticistiche, la relazione è molto piatta e ognuno ha lo spazio per poter esprimere la propria opinione e per dare così il proprio contributo.
Quindi, riassumendo, le caratteristiche più importanti sono saper lavorare assieme, avere entusiasmo e soprattutto saper dare una spinta per poter innovare.
“Dott. Berti, in Italia, questo cambiamento di pensiero come viene percepito?”
La mia percezione è che il nostro Paese sia più avanti di altri nella consapevolezza che ci possa essere una economia diversa, al servizio dell’uomo e della collettività. Forse, ci mancano regole e l’organizzazione per avere un percorso chiaro ed ordinato. Pur essendo un paese con un senso dello Stato e del bene comune ancora insufficiente, noi italiani abbiamo una forte sensibilità verso le persone e il prossimo. Ricordo che siamo il Paese con la percentuale di associazionismo e volontariato più alta d’Europa.
“Quindi secondo la sua esperienza, il capitalismo etico e la responsabilità sociale d’impresa possono essere in qualche modo legate alle radici cristiane della nostra storia?”
Personalmente sì. Abbiamo delle radici cristiane molto forti sia dal punto di vista religioso ma anche per come la società si è sviluppata. E non c’è dubbio che l’attenzione all’altro, propria della cultura cattolica, sia una delle pietre fondanti del modo di concepire il mondo.
E’ chiaro che abbiamo la necessità di concretizzare tutto ciò nella pratica. Stiamo vivendo in una fase di transizione, quindi chi ha voglia di fare, chi sente che c’è un modo diverso di concepire la vita, deve agire.
“Per concludere, possiamo dire di essere in una fase di transizione che va oltre la “globalizzazione senza regole”?”
Sì, questo è un periodo molto fecondo e lo si può constatare da molti aspetti. Sono convinto che debbano essere i giovani a prendere in mano le cose. Dovete essere voi, perché il futuro è vostro. Noi, più vecchietti, vi daremo una mano, però tocca a voi occuparvi di questo mondo che ha ancora tanto di bello da offrire!