Eva Bellò
Oliver Burkeman, Il perfezionismo che ci rovina la vita “Secondo una serie di studi pubblicati di recente, il perfezionismo è in aumento, soprattutto tra i giovani. Questa è una pessima notizia, perché il perfezionismo è collegato all’ansia, alla depressione e a molti altri problemi, ma l’aspetto positivo è che finalmente non se ne parla più come se fosse qualcosa di cui andare fieri.”
Il perfezionismo nella società post-tecnologica in cui viviamo è un fenomeno che inevitabilmente entra a contatto con noi, e con noi intendo i giovani, ma la domanda è: perché?
Questo atteggiamento si sviluppa in noi quando vediamo costantemente, soprattutto nei social, solo il lato migliore delle persone, e di conseguenza quello che sono più portate a pubblicare; questo ci fa pensare spesso di essere in difetto, ci fa concentrare su ciò che non abbiamo, ma soprattutto mette nel nostro percorso obiettivi inarrivabili, in quanto costruiti su realtà che in alcuni casi non ci appartengono.
Basti pensare ad un ragazzino che aspira ad una routine tipicamente americana che non può assomigliare alla sua e, quindi, lo fa sentire in difetto.
Per non cadere nella trappola del perfezionismo bisogna togliersi i filtri dagli occhi: essere realisti, ovvero deve avvenire la presa di coscienza necessaria per guardarsi attorno e capire dapprima dove siamo, osservare le possibilità, che seppure apparentemente infinite sono condizionate da noi, ed in secondo luogo capire dove vogliamo arrivare, chi effettivamente siamo, perché abbiamo scelto proprio quella direzione, e perché non un’altra.
Ciò a cui dobbiamo saper dire “no” è la visione utopica del perfetto, che di base non esiste; la visione in cui l’ideale di “perfetto” di qualcuno dev’essere il “mio perfetto”, va abbandonata.
L’esame di coscienza personale ci fa capire che per poter raggiungere un obiettivo dobbiamo sceglierlo, ed automaticamente escluderne altri; in secondo luogo ci fa scoprire chi siamo, ci mostra dove sbagliamo e tassello dopo tassello l’obiettivo finale si creerà, plasmato da noi, dalla nostra realtà e dalla nostra personale visione del mondo.
Se il perfezionismo è pensare di poter fare tutto alla perfezione, allora è una meta che non può indubbiamente esistere; ma se essere perfezionisti significa comprendere, non senza difficoltà, dove vogliamo andare e non accontentarsi delle briciole di felicità, ecco, in quel caso, esiste ed è sano.
L’imbroglio sta nel pensare che l’errore non sia compreso nel “perfetto finale”: l’errore è esattamente il pennello che traccia il quadro, lo delinea, lo definisce, perché l’errore sa aprire occhi che prima erano ciechi.
Posso quindi affermare che il perfezionismo è una casa che ognuno di noi dovrebbe costruirsi attorno: Se non ci si mette a costruire, però, si rischia di vivacchiare in luoghi dove non avremmo voluto vivere, di ritrovarci perduti o disorientati. Questa casa dev’essere costruita con la giusta ambizione, con la giusta capacità di vedere la luce dentro se stessi e di coltivarla.
La casa non sarà paradisiaca, questo va detto ma soprattutto accettato, la nostra costruzione sarà pena di difetti, e ciò che dobbiamo amare prima di tutto sono proprio questi: i lati bui che danno un senso al bello, che creano diversità, essenza, anzi ed a volte il mistero che ogni persona è.
Qualcuno potrebbe pensare che la vita di chi costruisce sia un’esistenza piena di stress, angosce ed insoddisfazioni sommarie, ma senza questo genere di dimensioni la felicità sarebbe così frivola e priva di significato da non appartenerci nemmeno, da diventare un casuale colpo di vento, e soprattutto, finché stai faticando con il cuore esso sta meglio, ama più forte che dopo l’arrivo alla vetta, più follemente… forse il cuore ha bisogno di faticare per ciò che ama.
Voglio infine affermare l’importanza di osservare, scrutare, meravigliarsi, amare il proprio mondo, senza aspirare a quello inarrivabile, ed a volte persino fasullo, di altri.