Mercoledì 27 aprile, la Corte Costituzionale ha dichiarato che le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre al figlio sono illegittime. Molti hanno definito come “storica” questa sentenza che porterà alla fine del patriarcato, mentre altri la ritengono oggetto di nuovi, futuri problemi. In questo articolo proviamo a capirne qualcosa e a comprendere se è davvero una svolta così importante.
Partiamo dalla sentenza vera e propria che nasce da una questione di legittimità costituzionale relativa al caso di una coppia che voleva dare al proprio figlio il solo cognome della madre. Non intendo dilungarmi sui dettagli del caso, ma sulla sentenza in sé, che ha introdotto due importanti novità: la già citata decadenza dell’automatismo che impone il cognome paterno, in caso di mancanza di accordo tra i genitori, e la possibilità di trasmettere ai figli solamente il cognome della madre. Di conseguenza, si potrà decidere se dare solo il cognome del padre, solo quello della madre, oppure entrambi, nell’ordine che si preferisce.
Un altro aspetto rilevante è che queste nuove regole si applicheranno non solo ai figli nati all’interno del matrimonio, ma anche a quelli concepiti fuori da esso o adottati.
Detto questo, la domanda che sorge è: introdurre il doppio cognome, prevedere che ne debba essere scelto uno di comune accordo dai genitori oppure mantenere entrambe le ipotesi possibili? E come ci si dovrà comportare se i coniugi non riusciranno a decidere insieme? Un’altra questione è quella della retroattività, ossia se sarà possibile cambiare i cognomi assegnati in passato adeguandosi alle nuove leggi.
Di tutto ciò dovrà occuparsi il Parlamento, che avrà il compito di definire le norme più adeguate. Esso era già stato più volte sollecitato dalla Corte Costituzionale ad intervenire a livello legislativo, visto che quest’ultima non è dotata del potere di emanare leggi, ma si limita a pronunciarsi sulla loro costituzionalità (ovvero sul fatto che siano attinenti ai principi stabiliti dalla Costituzione).
Ma come funziona negli altri Paesi europei? In Francia e in Belgio, ad esempio, in mancanza di un accordo tra i genitori, si assegnano entrambi i cognomi in ordine alfabetico, mentre in Lussemburgo si sceglie con un sorteggio. Nei Paesi Bassi si attribuisce di comune accordo uno dei due cognomi. Nel Regno Unito, invece, i genitori possono addirittura attribuire un cognome diverso dai propri. In Portogallo, i genitori sono liberi di scegliere quali e quanti cognomi mettere, fino a un massimo di quattro, mentre in Spagna, come nella maggior parte dei Paesi dell’America Latina, è obbligatorio che i figli portino i cognomi di entrambi i genitori, che possono solo deciderne l’ordine.
Tralasciando gli aspetti pratici della questione, ora che abbiamo chiarito di cosa stiamo parlando, mi vorrei soffermare sulle conseguenze di questa sentenza. Dare il cognome della madre al figlio è davvero un grande passo verso la fine del patriarcato? No, perché il cognome della madre è pur sempre quello di suo padre, ovvero del nonno del figlio, tramandato per secoli dal coniuge maschio. In linea di principio, quindi, non cambia nulla, si continuano ad usare cognomi “maschili”.
A pensarci bene, però, il cognome non è forse un’etichetta di comodo? Una semplice parola che utilizziamo per identificare qualcuno? Diamo quello della madre, diamo quello del padre, diamoli tutti e due o inventiamocene uno di nuovo. Basta che la regola sia chiara, no? O forse, proprio come il nome, il cognome è rappresentativo della nostra identità personale, è l’appellativo che ci identifica per tutta la vita?
A voi la risposta.