“Chi di voi vorrà fare il giornalista si ricordi di scegliere il proprio padrone: il lettore”
Indro Montanelli
Indro Montanelli nasce nel 1909 a Fucecchio, un paese della Toscana. Il nome Indro gli fu dato dal padre, assieme ai nomi Alessandro Raffaello e Schizogene, ossia generatore di divisioni, ruolo a cui sarà destinato spesso nel corso della sua vita.
Sin da ragazzo si appassionò allo studio umanistico e alla scrittura; ciò lo porterà a diplomarsi dapprima presso un Liceo Classico e successivamente a laurearsi a pieni voti in Scienze Politiche ed in Giurisprudenza.
Sarà in quest’ultima occasione che presenterà una tesi di laurea inerente la legge Acerbo, legge elettorale imposta nel 1924 dal fascismo e che assegnava il 65% dei seggi della Camera dei Deputati alla lista che avesse superato il 25% dei consensi.
Montanelli definì la suddetta legge come il tentativo, da parte del regime mussoliniano, di abolire le elezioni.
Fra i suoi docenti universitari vanno ricordati Piero Calamandrei, che diverrà uno dei Padri della nostra Costituzione e Giorgio La Pira, il democristiano primo cittadino di Firenze che sarà definito sindaco-santo, per la sua profonda fede cattolica.
Terminati gli studi, il giovane Montanelli si dedicò alla sua grande passione: il giornalismo. Come avrà modo di dire nei decenni successivi: “Io mi considero un condannato al giornalismo, perchè non avrei potuto fare niente altro“. Iniziò così a collaborare con quotidiani prima locali e successivamente nazionali, stringendo importanti rapporti con Ugo Ojetti, che sarà il suo mentore, Leo Longanesi e Giuseppe Prezzolini.
In particolar modo da questi suoi due colleghi e amici, Montanelli sarà profondamente influenzato nel suo orientamento politico: laico, liberal-conservatore e soprattutto anti-italiano, nel senso più positivo del termine. Montanelli era infatti estremamente critico nei confronti dei comportamenti “furbi” e bastati sulla convenienza del momento che gli italiani del suo tempo già sfoggiavano.
“E’ molto bello dire ciò che si pensa. A patto di pensare ciò che si dice”
Indro Montanelli
Nel 1932, entrato a far parte della Redazione del periodico fiorentino L’Universale, scrisse un articolo contro il razzismo che stava inziando a prendere piede in Europa, sulla scia dell’ascesa di Adolf Hitler in Germania. Mussolini, venuto a conoscenza dell’articolo, volle incontrarlo in un’udienza estremamente breve, nella quale si complimentò con il giovane Indro, dicendogli: “Avete fatto benissimo a scrivere quell’articolo. Il razzismo è roba da biondi“. Lo stesso Mussolini soltanto sei anni più tardi fece approvare le leggi razziali.
Negli anni ’80, quando Montanelli renderà noto questo incontro in un’intervista all’amico e collega giornalista Enzo Biagi, commenterà: “Il comportamento di Mussolini non mi sorprese. Mussolini era italiano e come tutti noi italiani, egli non creava il vento, bensì lo seguiva”.
Successivamente intratterrà rapporti con i principali giornali europei e occidentali, collaborando fra cui con riviste e quotidiani francesi e statunitensi, sino al 1935, quando parteciperà alla Guerra d’Etiopia come volontario. La sua esperienza di soldato in Etiopia ebbe però breve durata: dopo pochi mesi venne ferito e dovette ritornare in Patria.
Tuttavia durante la sua permanenza nella terra africana il giornalista avrebbe stipulato un contratto di madamato con una ragazzina di età compresa fra i dodici e i quattordici anni. Il madamato era una pratica giuridica che regolava una relazione temporanea fra i soldati italiani e le donne native delle terre che venivano colonizzate.
Questa usanza era estremamente diffusa negli anni ’30 del secolo scorso, e Montanelli in quanto figlio del proprio tempo, vi aderì. Per quanto concerne questo aspetto della vita del giornalista, ci asteniamo nel dare giudizi usando i parametri etico-morali di oggi, che risulterebbero impropri, essendo il fatto accaduto mentre l’Imperialismo dilagava nel mondo.
Secondo quanto narrato da Montanelli, il rapporto con la ragazza rimase sempre positivo, tanto che quando egli andò a farle visita nel secondo dopoguerra, scoprì che la donna aveva messo il nome Indro al suo primogenito.
“La depressione è una malattia democratica. Colpisce tutti”
Indro Montanelli
Come la quasi unanimità dei giovani della sua epoca, Montanelli guardava al fascismo con rispetto, essendo l’unico regime politico che aveva conosciuto nel corso della sua vita. Tuttavia a seguito dell’introduzione delle leggi razziali e dell’avvicinamento dell’Italia alla Germania hitleriana, il giornalista prese le distanze dal regime, prendendo contatti con le forze antifasciste ritiratesi a Parigi.
Iniziata la collaborazione con Il Corriere della Sera, di cui per decenni sarà l’uomo-simbolo, si recò nei fronti della Seconda Guerra Mondiale per documentare la Redazione degli accaduti.
Fu in quegli anni che ebbe modo di incontrare casualmente Adolf Hitler, dall’incontro non furono però prodotte interviste.
Nel 1943, si unì al gruppo antifascista Giustizia e Libertà ed intrattenne importanti colloqui con la principessa Maria Josè di Savoia, nuora dell’allora Re d’Italia Vittorio Emanuele III. Montanelli fece più volte pressioni sulla principessa affinché la Corona prendesse provvedimenti contro il Regime fascista e l’alleanza con la Germania.
L’8 settembre del 1943, con il proclama dell’armistizio italiano e la fuga del Re e del Governo Badoglio da Roma, i tedeschi invasero l’Italia e Montanelli fu arrestato e condannato alla fucilazione per la sua azione antifascista. Fu proprio nel carcere di San Vittore che ebbe modo di conoscere il futuro presentatore televisivo Mike Bongiorno.
Tuttavia grazie alle pressioni dell’arcivescovo di Milano, il Cardinal Schuster, amico di Montanelli, l’ordine di fucilazione sarà rinviato di volta in volta, sino a quando, grazie all’aiuto di alcuni partigiani, riuscirà ad evadere dal carcere.
“Il fascismo privilegiava i somari in divisa. La democrazia privilegia quelli in tuta. In Italia i regimi politici passano, i somari restano. Trionfanti”
Indro Montanelli
Terminata la Guerra, tornerà alla Redazione de Il Corriere, dando il proprio benestare nelle varie elezioni politiche che si susseguiranno nel corso dei decenni, ai residui dei vari partiti risorgimentali, come il Partito Repubblicano Italiano, allora guidato da Ugo La Malfa, amico di Montanelli che gli proporrà una candidatura che il giornalista rifiuterà, e al partito più importante di allora, la Democrazia Cristiana (DC).
I rapporti con quest’ultimo partito furono sempre controversi. Montanelli, da laico, non amava le invasioni di competenze che la Chiesa Cattolica, attraverso questo partito, era abituata a compiere in Italia, in particolare a seguito del referendum istituzionale che defenestrò i Savoia e rese l’Italia una Repubblica.
Fu Montanelli a coniare l’espressione “turiamoci il naso“, dando il proprio sostegno alla DC, seppure non senza contrasti di coscienza.
Il tutto era dovuto all’avversione che Montanelli aveva verso la sinistra, ed in particolare verso i comunisti rappresentanti dal PCI (Partito Comunista Italiano), che riteneva un pericolo per la democrazia in Italia, tanto da essere pronto a prendere parte ad una lotta armata, in caso di vittoria comunista e tentativo da parte di questi di instaurare un regime sottoposto al volere dell’URSS di Stalin.
Sarà questa avversione per il comunismo a causargli dei problemi: nel 1972 il Corriere della Sera abbandonò la sua tradizionale imparzialità per virare a sinistra. Iniziarono quindi le prime epurazioni all’interno dello storico giornale italiano, con il naturale licenziamento in tronco di tutti coloro che si opponevano alla nuova linea editoriale, a partire dal direttore Giovanni Spadolini (poi Presidente del Consiglio dei Ministri) e dallo stesso Montanelli.
Indro fondò così Il Giornale (inizialmente definito Il Giornale nuovo), con l’obiettivo di “stare fuori dal coro“, ossia differenziarsi dai principali quotidiani di allora che iniziavano ad orientarsi a favore di una svolta a sinistra per il Paese. Questo contribuì a renderlo il più pericoloso nemico nei mezzi d’informazione agli occhi delle Brigate Rosse (BR), frange estremiste comuniste. Il 2 giugno 1977 le BR tesero un attentato al giornalista, sparandogli alle gambe. Egli non riportò gravi lesione e successivamente riconobbe e perdonò i suoi attentatori.
In questi anni Montanelli non sarà solo il principale punto di riferimento culturale degli ambienti conservatori, bensì sarà considerato come il più grande giornalista italiano del ‘900. I suoi articoli, che spaziavano dalla cronaca alla politica, erano considerati positivamente da sostenitori e avversari e la sua fama lo portò ad intervistare i personaggi più importanti e influenti del XX secolo, come Giovanni XXIII.
Si dedicherà inoltre alla scrittura di opere teatrali, traduzioni e soprattutto di Storia d’Italia, una collana di libri di successo che raccontano la storia italiana dall’antichità al 1997.
“Sta arrivando l’uomo della Provvidenza. Ed io, in vita mia, di questi personaggi ne ho già conosciuto uno. Mi è bastato. Per sempre”
Indro Montanelli
Negli anni ’80 Il Giornale entra in crisi. Il quotidiano di Montanelli infatti non godeva dei finanziamenti di grandi imprenditori, bensì viveva di quelle che erano definite, da parte degli avversari di Indro, “elemosine dei lettori“, il tutto con lo scopo ultimo di preservare l’autonomia della redazione e la qualità dell’informazione.
Tuttavia per far fronte al progresso tecnologico occorrevano sempre maggiori finanziamenti.
Fu così che un imprenditore milanese vicino al politico socialista Bettino Craxi (di cui abbiamo trattato la biografia qui: Bettino Craxi, la caduta degli dèi) e che aveva avuto successo negli ambiti dell’edilizia e della televisione, si offrì di acquistare parte del pacchetto azionario del quotidiano, sino a raggiungere la maggioranza assoluta ed il suo conseguente controllo. Il suo nome era, ed è: Silvio Berlusconi.
Il patto fra Montanelli e Berlusconi fu il seguente, come descritto dal giornalista: “Avendolo acquistato tu sei il proprietario de Il Giornale, ma io ne sono il padrone, almeno finchè ne sono il direttore. La vocazione del servitore io non l’ho mai avuta e non l’avrò mai”.
Grazie ai finanziamenti di Berlusconi, Il Giornale superò la crisi ed il rapporto fra i due sarà positivo, sino a quando nel 1994, a seguito delle inchieste giudiziare legate a Tangentopoli, che spazzarono via i partiti politici della Prima Repubblica, Berlusconi deciderà di entrare in politica.
Montanelli era contrario a questa decisione dell’imprenditore milanese. Il vecchio giornalista infatti aveva compreso che con la sua discesa in campo, Berlusconi avrebbe preteso che Il Giornale appoggiasse la sua linea politica, sacrificando la sua storica autonomia, inoltre sosteneva che Berlusconi non fosse adatto alla politica, soprattutto a causa del suo conflitto di interessi.
Lasciò così il giornale che aveva fondato, dando vita ad un nuovo quotidiano La Voce, che non ebbe però lunga vita.
Nel 1996 l’anziano giornalista tornò a Il Corriere della Sera, di cui gli fu offerto il posto di direttore, che rifiutò. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò con passione alla sua rubrica presso il Corriere: Le stanze, nella quale rispondeva ai quesiti che gli ponevano i suoi lettori.
Inoltre, in collaborazione con il giornalista Alain Elkann, realizzò una serie di interviste legate al commento della versione cartacea della sua Storia d’Italia.
Morì il 22 luglio 2001 all’età di 92 anni presso la clinica milanese La Madonnina, a causa di complicazioni causate da un’infezione alle vie urinarie.
Le sue ceneri giaciono accanto all’oculo della madre Maddalena, presso il cimitero di Fucecchio.
Un pensiero personale
“Ai giovani io dico: battetevi sempre per le cose in cui credete. Forse perderete tutte le battaglie, come le ho perse io. Una sola dovrete sempre vincere: quella che si ingaggia ogni mattina davanti allo specchio quando ci si guarda in faccia”
Indro Montanelli
Indro Montanelli era un uomo del suo tempo. La sua profonda formazione liberale e la sua grande attività professionale erano figlie del suo tempo. Proprio come il contratto di madamato di cui si macchiò durante la Guerra di Etiopia e che, per quanto sbagliato, non può essere giudicato da noi contemporanei, che fortunatamente viviamo in un’Italia ed in un mondo completamente cambiati.
Montanelli come tutti i grandi della Storia non era perfetto. Egli stesso disse negli ultimi anni della sua vita: “Non santificatemi o prendetemi come esempio, perchè se dovessimo fare un bilancio della mia vita, quest’ultimo sarebbe negativo”.
Non possiamo e non dobbiamo tuttavia ignorare la sua sconfinata cultura e le capacità di comunicazione uniche, soprattutto in ambito scritto, che lo portavano a produrre articoli rigorosi e al contempo semplici, consentendogli di “spiegare agli altri quello che non aveva capito nemmeno lui”, proprio come disse lo scrittore Mario Missiroli.
Insomma Montanelli è stato un genio del giornalismo ed è a pieno titolo il più grande giornalista del ‘900, nonostante la cancel culture non lo apprezzi e stia facendo di tutto per cancellarlo. Purtroppo infatti la sua figura, tanto cara o osteggiata, ma pur sempre presente nella memoria degli italiani durante la sua lunga vita, è stata recentemente maltrattata, a partire dal vandalismo di cui è stata oggetto la statua a lui dedicata dal Comune di Milano.
Con questo articolo, nel nostro piccolo, confidiamo di avergli reso l’onore delle armi.
La storia non è infatti costituita soltanto da coloro che la fanno o la subiscono, ma anche da chi sa raccontarla.
Ed in questo il Maestro Montanelli era unico.
In medio stat virtus.