“Un paese che ignora il proprio ieri è un paese senza un domani”. Consci di questa affermazione del maestro Indro Montanelli (1909-2001), che è stato il più grande giornalista italiano del ‘900, il nostro giornalino scolastico ha raccolto la sfida di ricordare alcune importanti donne e uomini del passato italiano ed europeo, di cui, nel bene o nel male, non dovremmo mai dimenticarci.
– Andrea Dalla Palma, capo-redattore de “Il Pelapatate”
“Quando si dice la verità non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”
ALDO MORO
Aldo Moro nacque nel 1916 a Maglie, un comune in provincia di Lecce.
Laureato in Giurisprudenza a pieni voti, inizia la sua carriera nel mondo accademico negli anni ’40, ove incontra alcuni fra quelli che diverranno i suoi più importanti colleghi, fra cui il futuro presidente della Repubblica Giovanni Leone.
Ed proprio in questi anni che inizia il suo impegno politico, entrando clandestinamente a fare parte della Resistenza politica all’ormai prossimo alla fine regima fascista.
Moro si avvicina alla componente democratico-cristiana dell’opposizione clandestina al Duce, intessendo stretti rapporti con Alcide De Gasperi (di cui abbiamo trattato la biografia qui: Alcide De Gasperi, l’uomo che rifece l’Italia), Giulio Andreotti e Giuseppe Dossetti. Ed è grazie agli insegnamenti e all’affinità culturale con quest’ultimo che Moro entrerà a fare parte della neonata Democrazia Cristiana, partito che dominerà la scena politica italiana dal secondo dopoguerra al 1994.
Eletto deputato all’Assemblea Costituente, la sua ascesa fu inarrestabile. Riconfermato deputato in tutte le elezioni politiche (nel 1963 e nel 1968 fu il candidato che ottenne in termini assoluti il maggior numero di preferenze in tutta la penisola), Moro ricoprì anche numerosi incarichi governativi: Ministro degli Esteri durante la Guerra Fredda, momento in cui l’Italia era culturalmente – e non solo – divisa fra i due blocchi che dividevano il mondo, quello americano e quello sovietico; Ministro dell’Istruzione, Ministro della Giustizia e infine Presidente del Consiglio dei Ministri.
Lo statista pugliese fu un grande innovatore. A lui infatti si devono alcune importanti riforme, come: la realizzazione del decentramento regionale, le prime iniziative volte all’assistenza sanitaria pubblica, il coinvolgimento della protezione civile in associazioni di volontariato.
Estremamente importante fu il suo impegno in politica estera: dall’accordo con gli indipendentisti palestinesi, per impedire attacchi terroristici in Italia, sino alla politica di equilibrio volta ad impedire il crollo della democrazia in Italia e l’instaurazione di un regime favorevole alla dittatura sovietica, attraverso un gioco di abile diplomazia estera e politica interna.
Moro fu uno strenuo difensore delle Istituzioni repubblicane e democratiche. Mentre in Parlamento i partiti demagogisti, presenti in ogni epoca, invocavano le piazze e chiedevano il processo dei principali esponenti della Democrazia Cristiana, rei a loro dire di essere stati coinvolti in uno scandalo di corruzione, Moro difese con coraggio lo spirito Repubblicano, garantista e solidale della nostra Costituzione.
“Onorevoli colleghi che ci avete preannunciato il processo nelle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare”
Aldo Moro
La politica attuata da Moro fu quindi estremamente importante per le sorti del nostro Paese. Nel bel mezzo della guerra fredda, ove in Italia sin dal 1946 i partiti di sinistra erano stati esclusi dal governo, a sostegno di una politica USA in chiave anti-sovietica, Moro aprì alla formula del centro-sinistra, ossia ad un alleanza di governo fra la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista Italiano.
Moro era infatti ben consapevole della necessità di allargare la maggioranza di governo anche ai partiti di sinistra, per poter creare finalmente quell’alternanza che mancava all’Italia, in quanto vittima di un sistema democratico bloccato, nel quale la Democrazia Cristiana governava sempre e comunque.
Ed è con questo spirito che Moro apre alla fine degli anni ’70 al Partito Comunista Italiano (PCI), stipulando di fatto il cosiddetto compromesso storico. Moro comprende che il PCI dell’allora segretario Enrico Berlinguer è lontano anni luce dalla logica stalinista ed è un movimento ormai pronto ad inserirsi, nonostante i tanti limiti, nell’alveo delle democrazie occidentali, entrando di fatto “sotto l’ombrello della NATO“, come disse lo stesso Berlinguer.
Tuttavia questa strategia non piacque all’ala destra della Democrazia Cristiana, agli ambienti curiali e soprattutto al potente alleato americano, che ancora, a ragione o a torto, temeva la caduta della democrazia italiana e l’instaurazione di un regime comunista.
Moro arrivò comunque al suo obiettivo: un accordo con il PCI di sostegno alla formazione di un governo che, grazie all’astensione dei comunisti in Parlamento, avrebbe avuto la maggioranza. A presiedere il governo sarebbe stato l’unico uomo in grado di mantenere saldo il dialogo con tutti gli ambienti contrari a tale iniziativa, essendone egli stesso fra i critici: Giulio Andreotti.
Il 16 marzo 1978, giorno di presentazione del nuovo governo Andreotti in Parlamento, gli uomini della scorta di Moro furono brutalmente assassinati e lo statista democristiano sequestrato dalle Brigate Rosse, gruppo terrorista ed estremista di matrice comunista.
Moro fu tenuto sotto sequestro per cinquantacinque lunghi giorni ed i principali partiti italiani, con l’esclusione del Partito Socialista guidato da Bettino Craxi, optarono per una linea della fermezza. Non potevano, secondo le loro dichiarazioni, trattare sul sequestro Moro, e quindi cedere dinnanzi ai terroristi. Sarebbe stata la fine dello Stato.
L’allora Papa Paolo VI, amico personale del politico pugliese, durante un intervento in Piazza San Pietro, implorò i brigatisti di lasciare libero Moro. Le sue parole echeggianti nella grande piazza vaticana, non smossero tuttavia i cuori dei sequestratori.
Moro fu brutalmente assassinato e il suo cadavere emblematicamente lasciato inerme in una Renault 4 rossa, a metà strada fra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista.
La famiglia, sentendosi tradita dalle Istituzioni che Moro aveva servito per tanti anni, rifiutò i funerali di Stato.
Dal suo luogo di prigionia Moro scrisse una serie di lettere ad esponenti politici e familiari.
Alleghiamo di seguito il link dell’ultima straziante lettera alla moglie: https://www.youtube.com/watch?v=oKRI1b3JqC0&t.
Una riflessione personale
Quando al giorno d’oggi si parla di Aldo Moro, si ricorda purtroppo soltanto la sua orrenda e immeritata fine, tralasciando la sua profonda formazione culturale cattolica, il suo lungimirante e al contempo concreto pensiero politico e la sua straordinaria oratoria. Confidiamo, con questa nostra breve biografia, di aver reso giustizia a questo grande e importante statista italiano, almeno agli occhi dei nostri lettori.
Quando nel 1994 gli ormai esausti partiti della Prima Repubblica – principalmente la DC, il Psi e il Pli – caddero sotto i colpi della guerra giudiziaria di Tangentopoli, molti imputarono agli avvisi di garanzia dei magistrati la fine di questo sistema politico.
Tutto questo è errato. Infatti, come sostiene il giornalista Filippo Ceccarelli, l’assassinio di Moro non pose fine soltanto alla stagione del terrorismo interno, ma anche a quella della Democrazia Cristiana, il partito simbolo e perno di quell’epoca.
Dopo De Gasperi, era Moro la guida, l’anima, il Padre del partito. Il suo assassinio, fu simbolicamente un parricidio. L’assassinio di un Padre sacrificato sull’altare della Patria in nome di uno Stato, la cui assenza è elemento intrinseco della sua essenza.
Fra sedute spiritiche di prodiana memoria e crisi umane per l’allora Ministro dell’Interno Cossiga, la morte di Moro lasciò dietro a sè il necessario per avviare un lungo conto alla rovescia per l’allora classe dirigente, l’inizio della fine.
Il mio sangue ricadrà su di loro, è una delle frasi maggiormente premonitorie della storia. La storia di un uomo barbaramente ucciso due volte: la prima da un gruppo di estremisti comunisti, la seconda da parte di uno Stato che ancora oggi tace sui tanti dubbi legati alla sua fine.
Summum ius, summa iniuria
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